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la Cina e il profitto

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Un amico, che da qualche tempo vive in Cina, scrive:

“Credo che il capitalismo sia dannoso. La sua essenza è la rincorsa del profitto, con qualsiasi mezzo e questo da sempre porta danni e distruzione”.

Sulla base di questa convinzione (teorica) interpreta la realtà che lo circonda, in una testimonianza giornalistica molto bella, per la freschezza del racconto e per la sincera verso gli altri esseri umani. Ma sul profitto, il capitalismo, l’iperliberismo come cause di tutti i mali non sono d’accordo.

Il profitto ha una sua funzione: allocare il risparmio verso attività produttive, che creano cioè valore, e evitare lo spreco (cioè la distruzione) di beni. Nel profitto le aziende (private, ma anche pubbliche) trovano un criterio oggettivo per capire a quali attività dedicarsi, e soprattutto a quali non dedicarsi, per evitare di consumare il loro tempo e i loro capitali. Una società dove si abolisce la possibilità di ‘fare profitto’ probabilmente sarebbe un caos: non ci sarebbe più alcun parametro oggettivo per orientare le scelte degli individui in modo da collocare le risorse disponibili in attività produttive. L’alternativa al profitto sono parametri ‘ideologici’ di allocazione del risparmio, che in generale si concludono con la sua distruzione da parte delle classi dirigenti portatrici dell’ideologia, anche solo per via degli enormi costi connessi all’imposizione alla società del loro rigido ordine politico, reprimendo ogni dissenso.

La Cina offre una testimonianza storica di questi meccanismi: il prezzo pagato dal paese dopo i primi decenni di Repubblica Popolare e soprattutto dopo il furore arbitrario della ‘grande rivoluzione culturale’ sono stati milioni di morti e una popolazione ridotta alla fame (il tutto, è bene ricordarlo, in nome di una società più equa e giusta).

La Cina oggi è  un paese dove ancora vige un regime autoritario, e le libertà individuali sono scarsamente protette. Ed è certamente una società che cambia e piena di problemi e ingiustizie. Ma è sbagliato credere che la causa di questi problemi sia ‘il mercato’ che arricchisce i ricchi a spese dei poveri, rendendoli ancora più poveri. La Cina ha creato ricchezza (incredibile ma vero: la ricchezza si crea, non solo si ‘redistribuisce’), negli scorsi decenni, e ne hanno beneficiato intere fasce di popolazione, che hanno visto i loro salari aumentare costantemente, anche negli ultimi anni (e anche nei settori agricoli), uscendo da una condizione di indigenza.

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Anche sulle diseguaglianze è facile lasciarsi suggestionare da ciò che si vede. Ma se si tiene conto di ciò che non si vede, e cioè dei dati, la realtà è diversa. Le divergenze di reddito in Cina, si legge in un rapporto Ocse dello scorso anno, sono andate gradualmente riducendosi, anche nelle aree rurali. L’argomento della diseguaglianza è poi concettualmente discutibile. Le diseguaglianze, siccome le risorse sono scarse, e tocca in qualche modo scegliere come usarle e chi ne beneficerà, tendono ad esserci in qualsiasi regime, di mercato, o ‘pianificato’, o ‘misto’. Ciò di cui si dovrebbe parlare è il grado di opportunità che ogni modello offre agli individui, di incremento del proprio benessere economico e di mobilità sociale (di felicità psicologica no, quella è una faccenda strettamente personale). Della differenza, insomma, tra gli anni più severi del regime maoista, in cui l’unico modo per uscire dalla miseria era diventare un fanatico, vivendo sempre col terrore di essere epurato, e la Cina di oggi, dove i poveretti pensano a mettersi in proprio, anche solo aprendo un bar o piccolo ristorante. E almeno qualche volta ci riescono.

Written by trial & error

giugno 14, 2013 a 2:46 PM

Pubblicato su economies

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2 Risposte

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  1. Viva il Socialismo Nazionale!

    irregolare

    giugno 14, 2013 at 6:46 PM

  2. Bell’articolo, molto utile! Stavo facendo le mie belle letture di post pre-nanna, per lasciare magari qualche commento… quando ho letto questo articolo! Grazie delle dritte!!!

    alessia

    giugno 18, 2013 at 12:17 PM


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