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Accordo sul nucleare iraniano, qualche impressione

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Le impressioni che seguono si basano sul presupposto che l’accordo sul nucleare iraniano sia una scommessa credibile, e che il regime iraniano non abbia agito solo per volontà di ottenere l’abolizione delle sanzioni, col proposito poi di tradire gli impegni. Ma gli effettivi mutui vantaggi che derivano dall’accordo sembrano almeno disincentivare tale linea di condotta.

  • L’accordo mette fine alle sanzioni economiche applicate a quel paese, e riammette di fatto una società fortemente dinamica e plurale, anagraficamente giovane, con aspettative forti di aumento della libertà individuale (pur osteggiate da comunità locali e religiose ancora molto conservatrici, e dai percettori di benefici del regime), nella comunità internazionale.
  • Il negoziato porterà benefici economici notevoli per l’Iran, rafforzando i legami economici con i paesi occidentali.
  • La ritrovata legittimità nell’ordine internazionale, l’afflusso di investimenti stranieri e la maggior interdipendenza iraniana con le economie occidentali può potenzialmente trasformare il regime iraniano incentivandolo a realizzare riforme liberali, di tutela individuale, della proprietà, dell’impresa privata, dei diritti civili.
  • Un’Iran ‘sdoganata’ plausibilmente perderà interesse ad alimentare disordini in Medio Oriente in chiave anti occidentale, e tenderà ad acquisire un ruolo stabilizzatore. Chi è ammesso a far parte di un ordine internazionale ha interesse a cercare i propri vantaggi geopolitici ed economici all’interno di esso, riconoscendone la legittimità. D’altronde, è disincentivato a contestarlo. Ad oggi il regime iraniano, in quanto ‘paria’ dell’ordine internazionale, trovava la sua più importante fonte di legittimazione nella denigrazione dell’Occidente e di Israele. Dopo aver siglato un “accordo col nemico”, avrà difficoltà a perseguire questa linea.
  • La prima reazione di Israele all’accordo è stato l’infuriato commento di Netanyahu. Ma è possibile che rapporti tra Iran e Israele possano già nel breve termine distendersi, o almeno uscire dall’impasse attuale, pur mantenendo una reciproca retorica ostile di facciata. E’ possibile che la reazione di Netanyahu sia stata dettata più da ragioni di consenso interno che dall’assenza di consapevolezza su questo punto. La distensione diplomatica ed economica con l’Occidente e il ritorno nell’ordine internazionale – se non è una farsa, come non sembra – creerà alla lunga legami di interesse con l’Occidente di cui Israele fa parte, che renderanno politicamente costoso e controproducente per l’establishment del regime degli ayatollah, perseguire l’obiettivo anche solo potenziale della distruzione di Israele.
  • Nel quadro del conflitto Israelo-Palestinese, la riammissione dell’Iran nell’ordine internazionale, per le ragioni sopra descritte, potrebbe rendere Hamas e le organizzazioni di potere palestinesi fondate strumentalmente sull’odio per Israele (e non sulla difesa dei diritti dei palestinesi,  ma al contrario, sul loro cinico sfruttamento) prive di legittimità. E’ possibile che l’Iran si faccia promotore  di una sistemazione territoriale e istituzionale della Palestina, avviando negoziati anche molto duri con Israele, ma non più fondati sul presupposto della sua ‘cancellazione’. Israele avrà forse, finalmente, dei vicini che ne riconoscono il diritto di esistere, benché ostili. Ne conseguirà però l’obbligo a ridimensionare la discrezionalità unilaterale con cui il paese ha fino ad oggi utilizzato la forza militare nei confronti dei territori e dei regimi vicini, in nome del (legittimo) diritto a preservare la propria esistenza.
  • L’incognita sono i paesi arabi. Che non sono in molti casi, veri ‘paesi’ con istituzioni fondate storicamente e giuridicamente dal basso, ma regimi post coloniali autoritari ch esercitano il loro potere su territori disegnati a tavolino, gestiti a vario titolo da tiranni o oligarchie in modo  tribalistico, o militaristico. Si tratta di stati refrattari all’inserimento in nell’ordine internazionale ma che avendo scarsa legittimazione politica e istituzionale interna, sembrano dipendere per la loro stessa esistenza da equilibri e sostegni internazionali. Per questa ragione, è poco plausibile che si arrischino davvero in corse agli armamenti nucleari, o reazioni militari all’affermazione della ‘potenza regionale’ iraniana. Più probabile che cerchino spazi di garanzia della continuità dei loro poteri nel nuovo contesto.

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luglio 15, 2015 at 12:36 PM

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The less hypocritical than thou game (sulla Crimea e il Kosovo)

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In cosa consiste, con buone argomentazioni, lo spiega Daniel W. Drezner, columnist del Guardian qui. Ma la tentazione del Less hypocritical than thou game sembra irresistibile, quando riguarda gli Stati Uniti. O meglio il gioco riguarda solo, generalmente, gli Stati Uniti, insieme a un paio di altri soggetti:  Israele, l’Occidente (a guida Stati Uniti) se si rimane in tema geopolitico; il capitalismo, il mercato, i ricchi, nelle versioni socioeconomiche. Rimanendo sul tema, ecco le regole del gioco elencate da Drezner:

Contrarians and critics of American foreign policy like to play a game called Less Hypocritical Than Thou. The rules are simple:

Rule No 1: seek out the narrative about a global crisis triggered by some “bad” international actor;

Rule No 2: point out the ways in which the US has done the very same thing at some point in recent history;

Rule No 3: stress the need to perceive world politics from another point of view;

Rule No 4: revel in the hypocrisy of your intellectual adversaries;

Il less hypocritical than thou game emerge inevitabilmente, prima o poi, nelle discussioni su temi di politica internazionale, e di economia.  Affrontarlo non è facile, perché di solito le confutazioni di analogie che appaiono immediate richiedono argomenti complessi, non altrettanto impressionanti. Sulla questione ‘Kosovo – Crimea differenze e somiglianze’, l’articolo di Drezner sottolinea alcuni argomenti forti. Tra questi ve ne sono molti di carattere giuridico, come la risoluzione dell’Onu che giustificò l’intervento della Nato, e altri descritti dall’analista.

Ma l’aspetto che mi sembra più rilevante è di carattere sociale: l’intervento in Kosovo è arrivato dopo qualche anno di scontri sanguinosi ed episodi di violenza terribile per l’autonomia, e svariati tentativi di soluzione diplomatica della crisi. Invece in Crimea il referendum è arrivato in un momento di tranquillità, senza alcun tentativo precedente di negoziare il passaggio alla Russia, e in uno stato di occupazione di fatto da parte di quest’ultima (e complimenti a Putin per la furbizia politica).  Vi furono in Kosovo benefici:  l’intervento Nato aiutò la stabilizzazione politica dell’area, e soprattutto consentì la graduale cessazione delle violenze, fino alla ‘dichiarazione d’indipendenza’ di quel paese. E’ possibile – non sono in grado di rispondere – che ne siano derivati anche benefici per gli interessi particolari degli Stati Uniti, ma tutto sommato questo è un aspetto di stretto interesse geopolitico.

In Crimea il passaggio alla Russia sarà invece probabilmente la premessa di altre crisi e instabilità e violenze, di cui è difficile prevedere i  risvolti politici e la portata. Putin, che non è affatto sprovveduto, lo sa, e al di là delle considerazioni giuridiche e geopolitiche, è questo elemento di forte irresponsabilità che caratterizza l’iniziativa russa in Crimea e in Ucraina, mi pare, il vero fattore discriminante rispetto all’intervento occidentale in Kosovo. Fattore che evidenzia anche l’irresponsabilità, per fortuna meno pericolosa, di chi gioca al less hypocritical than thou game.

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marzo 20, 2014 at 8:04 PM

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ottobre 6, 2012 at 12:36 PM

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