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Rispettare le culture, come rispettare i sassi

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Due parole sulla faccenda del rapporto con altre ‘culture’ e le loro usanze, a distanza di 3 settimane dall’attacco a Charlie Hebdo. Le culture vanno rispettate, si dice. Questa frase non ha significato, a pensarci bene. Si rispettano le persone, non le culture. Le culture sono qualcosa di privo di vita quanto lo sono le pietre, e affermare che vanno rispettate ha senso quanto sostenere che vadano rispettati i sassi.

Si rispettano, dunque, le persone. Questo aspetto differenzia ciò che chiamiamo ‘Occidente’ da altre comunità. Quelle occidentali sono società dove nessun ‘valore’ viene elevato a legge di convivenza, salvo la tutela delle libertà individuali. Per chiarire meglio la questione, bisognerebbe smettere di parlare di Occidente e non occidente (Islam, Cina o altro che sia). Molto più produttivo ricorrere alla distinzione tra ‘società aperta’ e società chiuse. La prima: un contesto giuridico che ha l’obiettivo di garantire l’autodeterminazione dell’individuo, senza entrare nel merito dei suoi fini e dei suoi desideri. Le altre: comunità – come le tribù o la teocrazia iraniana – organizzate secondo ideologie o dottrine che prescrivono invece come l’individuo si deve comportare, e qual è il suo ‘posto’ nella società.

L’Occidente è, appunto, o almeno è la cosa più simile esistente a una società aperta plurale, in cui le istituzioni e leggi si sono evolute per cercare di limitare la concentrazione del potere nelle mani di uno o di pochi, in modo che nessuno possa sopraffare gli altri e dunque condizionarne le scelte. Dunque, non ha molto senso parlare di ‘cultura occidentale’: nelle società occidentali esistono (o almeno, per la legge è così) tante culture quanti sono gli individui, che hanno diritto di cittadinanza finché non disturbano i loro simili.

Vi sono culture che invece non rispettano le persone, e sostengono che le libertà e le aspirazioni individuali debbano essere subordinate a ‘disegni collettivi’ più grandi. Il paradosso è che il ‘disegno collettivo’ si traduce puntualmente, ed è inevitabile che accada, in dominio arbitrario di pochi su tutti gli altri, con relative vessazioni e abusi. L’esempio più immediato sono le comunità islamiste, dove barbuti ayatollah tiranneggiano a furia di improbabili sharie, ma c’è anche l’autoritarismo cattolico, spesso altrettanto vessatorio, se pur ben celato sotto i toni piagnucolosi e mansueti dei prelati. C’è il ‘socialismo’, a cui ancora qualcuno aderisce, e di cui tanti hanno nostalgia. Mostrare quanto tali ‘culture’ siano miserabili, e svelare i personaggi meschini che si celano dietro le auree solenni dei loro armamentari rituali è necessario. Anzi, è un dovere civico. Il rischio altrimenti, è che in nome del rispetto, ne venga legittimata la violenza.

@leopoldopapi

Written by trial & error

gennaio 30, 2015 at 5:43 PM

Solo i musulmani possono sconfiggere l’integralismo

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Oggi Emma Bonino, intervistata da La Stampa, a una domanda sulla necessità di una reazione interna al mondo musulmano all’integralismo, ha risposto:

Non c’è dubbio che la reazione del mondo musulmano è fondamentale. Sinora è sempre mancata, ed è molto più difficile che si manifesti nei paesi islamici, forse perché, non avendo diritti di cittadinanza, i cittadini di qui Paesi non si rendono ben conto che gli attentati terroristici in Occidente hanno proprio i musulmani come obiettivo finale. Perché i terroristi si propongono di distruggere anche la loro, di civiltà. Se potessimo guardare anche all’attentato terroristico a Charlie Hebdo con gli occhi di un egiziano, di un algerino, o più ancora di un siriano, vedremmo, o per meglio dire ci ricorderemmo che i terroristi da noi commettono gesti efferati ma esemplari, su obiettivi a forte carica simbolica, ma furi dall’Occidente uccidono musulmani a migliaia. E ogni giorno.

E ancora, Bonino:

Da noi, quando la reazione si è manifestata timidamente, come hanno fatto i giovani islamici scesi in piazza contro l’Is a Milano lo scorso settembre, non hanno trovato grande eco. Nessuno se li è filati, per dirla chiara. Né i media, ne la politica, ed erano comunque proteste numericamente esigue. Qui c’è una responsabilità nostra, molti di loro non vengono riconosciuti ne legalizzati, sentono solo che nei loro confronti c’è un ondata razzista.

Ecco il nocciolo della questione: finché non si affermerà, nel mondo islamico, un movimento di contestazione del fondamentalismo, non ci sarà modo di venirne a capo. Non è che nel mondo di musulmani moderati non ce ne siano, o che manchi la gente sana di mente che crede in Allah, ma il problema è la mancanza di un Islam moderato ‘ufficiale’, una tradizione giuridica e istituzionale laica, se pur rispettosa dei precetti di quella religione, che anteponga la libertà individuale e personale alle prescrizioni teologiche e teocratiche di questo o quel capo o guida religiosa. Un sistema di valori e istituzioni a cui il mondo musulmano – le persone in carne ed ossa, la gente comune – possa fare appello per delegittimare i fanatici. Un tale contesto non può che essere, appunto, il risultato politico, giuridico e istituzionale di una ribellione delle comunità mussulmane all’integralismo, in nome dell’autodeterminazione dell’individuo e delle sue prerogative.

In assenza di un contesto simile, il mondo islamico, per quanto vi siano persone di buona volontà, non riesce a isolare il fondamentalismo, a marginalizzarlo, e ridurlo a un fenomeno di folklore ideologico per disadattati. Inoltre,  neanche i paesi occidentali possono fare granché, salvo potenziare le misure di intelligence e sicurezza, o tentare di regolare meglio l’immigrazione. Per quanto si stringano le maglie, qualche pazzoide fanatico potrà tuttavia sempre svicolare, e combinare massacri come quello di Charlie Hebdo. E poi la posta in gioco è alta: si rischia di compromettere lo stato di diritto, e buttar via proprio i principi che si vuol difendere.

All’indomani della strage di Parigi molti musulmani prendono le distanze, esibiscono anche autentica indignazione per l’accaduto, ma ad ascoltarli si percepisce la loro stessa perplessità e incertezza nel rispondere efficacemente ai deliri sanguinari dei loro correligionari, salvo buttar lì qualche slogan sul “vero Islam che non è quello”, o cercare di testimoniare come – vero, probabilmente – in tante moschee, in tante comunità si lavori sodo per contrastare le posizioni estremiste.

La comparsa di valori che possano fondare una “società aperta” islamica, capace di marginalizzare il radicalismo, non può che essere un processo legittimato dal basso, attraverso un consenso volontario e condiviso della maggioranza dei musulmani. Anche per questa ragione, i non islamici hanno poca voce in capitolo – e anche per questo ci sentiamo così impotenti quando succedono gli attentati – anche se sarebbe bene, come afferma l’ex ministra, cercare di dare maggior visibilità e a valorizzare il più possibile i fenomeni di “contestazione interna” del fanatismo. Ma anche sotto questo aspetto le possibili iniziative concrete sono limitate: una simile reazione dovrebbe affermarsi prima di tutto nei paesi del Medio Oriente, laddove le milizie estremiste assassinano sistematicamente e per futili motivi i loro concittadini, lontano dalle opinioni pubbliche occidentali. Comunque, a proposito della nascita di un tale movimento anti fondamentalista nel mondo islamico c’è di che essere molto scettici: per ora sembrano riscuotere molto consenso tra gli islamici ideologie e progetti politici opposti, e lo stato islamico è solo l’esempio più celebre.

Sarebbe un bel segnale in questa direzione se, almeno tra i musulmani occidentali, che le libertà le conoscono e di esse beneficiano, vi fosse una sollevazione di protesta  contro i terroristi e i barbuti dispensatori di ‘sharie’ a base di violenze sulle donne, prevaricazioni arbitrarie e strepiti teologici. Qualche episodio c’è stato, qualche giovane musulmano che, schifato, è andato in piazza a manifestare il proprio disgusto si è visto, anche se insomma, sono casi ancora troppo rari.  E poi resta il dilemma di fondo che, c’è da scommetterci, tormenta ogni buon musulmano, anche il più moderato e pacifico: un Islam che rinuncia ad aspirare di ‘creare la ‘società giusta’ islamica, che separa una volta per tutte ciò che è di Cesare da ciò che è di Allah, può ancora dirsi tale?

@leopoldopapi

Written by trial & error

gennaio 8, 2015 at 6:42 PM

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